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MMG indispensabili per il programma vaccinale ma serve più coordinamento
Per la somministrazione dei vaccini Covid, che partirà a gennaio, cruciale resta la rete della Medicina di famiglia. «Noi non solo non ci tiriamo indietro . avverte Silvestro Scotti ma rivendichiamo il fatto che la somministrazione dei vaccini è un nostro obbligo contrattuale e che il 70-80% delle dosi di antinfluenzale sono ogni anno somministrate dalla medicina di famiglia e solo in piccola percentuale dai centri vaccinali delle Asl e dei distretti».
Di seguito l'intervista al quotidiano Il Mattino
Dottor Scotti, somministrare milioni di dosi di vaccino antiCovid non sarà semplice...
«Tutto ruota attorno alle caratteristiche tecniche di conservazione delle fiale. È chiaro che se la stabilità del prodotto, nei contenitori di trasferimento che possono contenere fino a mille vaccini, è limitata a 5 giorni tutto diventa molto più complicato. Ma non tutti i vaccini hanno le stesse esigenze di conservazione».
Come immagina si possa fare?
«Probabilmente bisognerà mettere in piedi delle vere e proprie squadre di colleghi capaci di smaltire l'intera fornitura somministrando il vaccino senza assembramenti». In prima battuta sarete vaccinati voi operatori sanitari e gli anziani fragili? «Appunto, dopo i sanitari bisognerà andare a casa dei novantenni e ottantenni, verificando la loro disponibilità a ricevere il vaccino, stabilendo orari, percorsi, logistica. Tutte cose che richiedono tempo. È chiaro che tutto andrà pianificato per tempo e nei minimi dettagli».
Pianificare: lo si sta facendo?
«Ci auguriamo di essere coinvolti per sviscerare i problemi che già si intravedono all'orizzonte e per proporre soluzioni con la parte pubblica e istituzionale. Credo sia pura illusione pensare che il Piano vaccinale pandemico possa fare a meno della capillare rete, anche fiduciaria, che lega i medici di famiglia al più recondito angolo abitato di questo paese. Non affidarsi a un sistema già organizzato come quello della medicina di famiglia renderebbe tutto davvero difficile».
Ci sono anche i centri vaccinali delle Asl, Usca, il resto della medicina territoriale...
«I medici sul territorio sono pochi. Oltre noi e la specialistica ambulatoriale c'è ben poco. È stato difficile reclutare i medici delle Usca e modelli alternativi non ce ne sono. Anche di infermieri c'è penuria negli ospedali figuriamoci negli ambulatori».
Intanto sui vaccini antinfluenzali non tutto è andato liscio, anzi molti medici non hanno aderito. «La medicina generale ha somministrato l'80% delle dosi disponibili, le Asl e i distretti hanno fatto ben poco. A Bologna su 208mila dosi 203mila le hanno somministrate i miei colleghi. Molti sono andati in pensione in questo periodo perché anziani e incombeva il Covid. La strada per i giovani e l'attribuzione delle zone carenti sconta inaccettabili ritardi. I medici sono vittima dei ritardi, non artefici».
Molti assistititi hanno avuto difficoltà a cambiare medico?
«Il passaggio andrebbe sburocratizzato, le procedure semplificate. C'è il nodo del caricamento dei dati sull'anagrafe vaccinale che comporta lungaggini e aggrava il compito dei medici».
Tornando ai vaccini contro l'influenza: a che punto siamo?
«Tutte le dosi di cui siamo stati forniti sono state somministrate».
Mancano all'appello ancora tanti cittadini da vaccinare...
«Probabilmente molte fiale sono state somministrate e i dati non sono stati caricati per ritardi non imputabili ai medici ma alla compatibilità delle piattaforme informatiche».
Il rischio infettivo come si fronteggia?
«È un problema, molti colleghi si sono contagiati in fase post vaccinale. Bisogna seguire con grande scrupolo le linee guida dell'Istituto superiore di Sanità. Vale per lantinfluenzale e varrà per l'Anticovid. Bisogna rispettare i protocolli di sicurezza codificando in maniera precisa ogni evento così come già è stato fatto per i tamponi rapidi».
Ci potrebbe essere un piano B?
«Una vaccinazione di massa senza coinvolgere la medicina di famiglia mi sembra impraticabile. Il problema serio è la gestione degli anziani. Bisognerà creare un raccordo con gli infermieri del distretto e il coordinamento delle Aft. Le Asl dovrebbero tenere in conto il nostro ruolo. A me l'Asl non fa un tampone dal mese di giugno, in ospedale si fa ogni 10 giorni. Eppure curiamo gli stessi pazienti».
Fonte Il Mattino