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15 milioni senza medico di famiglia
Silvestro Scotti, da segretario nazionale della Fimmg, da tempo lancia l'allarme. Ma veramente il nostro caro medico di famiglia è in via di estinzione?
«Ci crede se le dico che tra quelli che andranno in pensione e i nuovi che non arrivano nel 2026 avremo 15 milioni di italiani senza medico di famiglia? Oppure in alternativa ognuno di loro si troverà a dover assistere fino a 2.500 pazienti. Una situazione in entrambi i casi ingestibile».
Già oggi siamo messi molto male però?
«Si, c''è già una carenza cronica con il 30% in meno dei professionisti dei quali ci sarebbe bisogno. Il che vuol dire che già oggi 4 milioni di italiani sono senza medico o ne hanno uno che deve seguire troppi pazienti. Per questo adesso che arrivano le vacanze diventa praticamente impossibile trovare un sostituto per godersi il meritato riposo».
Ma come si è arrivati a questa situazione?
«Per la solita cattiva programmazione. Bastava che qualche anno fa si andassero a vedere i codici fiscali di chi era in servizio per scoprire, data di nascita alla mano, che ci sarebbe stata una fuga verso la pensione tra il 2023 e il 2025. E se una volta i medici di famiglia chiedevano di poter rimanere in servizio fino a 72 anni ora scappano in anticipo. Magari quando arriva l''estate per non perdersi le vacanze. Per non parlare dei carichi di lavoro, perché non solo sono aumentati gli assistiti da ciascun medico, ma tra loro ci sono sempre più anziani afflitti da policronicità che richiedono molte più attenzioni e tempo che non c'è».
Perché un mestiere una volta ambito non attrae più i giovani?
«Che è così ce lo dice il fatto che il 50% delle borse di studio per la formazione è andata deserta. Ma non deve stupirsene chi durante il Covid ha fatto un racconto della medicina di base che è quello di un fallimento. Che se c''è stato è dipeso da chi aveva il compito di organizzare l'assistenza territoriale, non certo dei medici che sono rimasti soli a sopportarne il peso. E poi ci stanno caricando sempre più di pratiche burocratiche. Pensi che durante la pandemia ci hanno chiesto persino di stampare i Green pass».
Cosa si può fare per rendere la professione nuovamente attraente?
«Tanto per cominciare investire sull''università, inserendo tra le materie dei primi anni anche la medicina generale, che qualcuno chiama "di base, ma che poi è quasi sempre ignorata nei corsi. Poi nella fase successiva di formazione specialistica servirebbe accreditare gli studi medici che hanno attrezzature e organizzazione al passo con i tempi. Infine, ma non da ultimo, sburocratizzare e garantire un coordinamento tra i nostri studi, l''ospedale e le università, che oggi invece sono corpi separati. I giovani cercano ancor prima della gratificazione economica quella professionale, mi creda».
Fonte La Stampa