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L’intervista di Giacomo Milillo a About Pharma and Medical Devices
“Il Servizio sanitario nazionale, così com'è, non è più sostenibile. Il modello è da rivederee la medicina generale da rifondare”. L’intervista di Giacomo Milillo a About Pharma and Medical Devices
Dottor Milillo, lei non crede più alla sostenibilità di un Ssn che garantisca tutti. È la fine del modello universalistico?
Ho sempre creduto nel nostro Ssn, ma ora bisogna prendere atto che sul piano della prevenzione e dell'assistenza ai non autosufficienti non siamo riusciti a garantire a tutti le prestazioni necessarie. Oggi la sfida è quella di conservare il sistema sanitario universalistico, non di superarlo. Ma di fronte alla ristrettezza delle risorse bisogna trovare soluzioni.
Ad esempio?
Il governo deve individuare livelli essenziali di assistenza sostenibili con il fi nanziamento pubblico e poi livelli integrativi lasciati alla responsabilità del cittadino. Penso a mutue e fondi integrativi che nascono appunto per ridurre il costo delle prestazioni rispetto al mercato. Se vuole prendersi cura degli indigenti, il sistema sanitario non può più garantire tutto a tutti. Il governo deve individuare livelli integrativi di assistenza.
È una posizione impopolare?
Ci sono resistenze ideologiche. A me sembra più universale scegliere le cose più importanti da garantire e assicurare tutto solo agli indigenti. Così si recuperano risorse da investire per dare copertura a chi è in difficoltà. È l'universalismo concreto, fatto di equità e solidarietà, contro l'universalismo iniquo e di facciata.
Un esempio di sanità iniqua?
Penso ai ticket. La compartecipazione alla spesa è inevitabile, ma ora è eccessiva e ripartita male: certi ticket costano più della stessa prestazione fatta privatamente. Non ha alcun senso. Sulla carta è un Ssn sostenibile, nei fatti è sostenuto dai cittadini. Il sistema va rivisto in nome dell'equità: chi è più povero non può pagare lo stesso ticket di chi è più ricco.
Da anni si parla di rifondare la medicina generale. A che punto è questo processo?
La legge Balduzzi ha creato le condizioni perché si realizzi, attraverso il ruolo unico, le Aggregazioni funzionali territoriali (Aft) e anche le Unità complesse di cure primarie (Uccp). Tutto, però, dipende dalla negoziazione. La rifondazione sarà realizzata quando firmeremo il nuovo Accordo collettivo nazionale.
È ottimista?
La trattativa era cominciata male. Noi abbiamo sempre avuto un'opposizione preconcetta da parte delle Regioni. Ora abbiamo registrato una disponibilità al dialogo. Se si arriva a livelli di mediazione accettabili va bene, altrimenti non fi rmeremo e saremo pronti a indire una mobilitazione.
Tre punti su cui la Fimmg non è disposta a negoziare?
Il primo è il profi lo giuridico. Siamo contrari a una normativa che prima ci classifi ca come liberi professionisti convenzionati e poi introduce per noi regole proprie della medicina dipendente. E soprattutto vogliamo che l'accordo nazionale non possa essere modifi cato a livello regionale. Il secondo punto, invece, riguarda ruolo unico e aggregazione professionale, mentre il terzo la ristrutturazione del compenso: una riclassifi cazione delle voci dell'onorario distinguendo ciò che paga l'attività professionale da ciò che fi nanzia i fattori di produzione.
A ottobre diverse sigle sindacali, tra cui la Fimmg, hanno lanciato l'Alleanza per la professione medica. Cos'è?
È un soggetto che esprimerà in modo unitario la voce degli oltre 100 mila professionisti rappresentati, formulerà proposte sulla condizione dei medici, si occuperà anche di temi come la responsabilità professionale. La priorità assoluta è il riconoscimento e la tutela della professionalità del medico.