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Erano stati inquisiti per aver svolto altre attività
Non sussiste "sviamento" o deviazione della pubblica legge se la borsa di studio è stata erogata al medico in formazione quando questi l'ha effettivamente svolta secondo modalità e tempi previsti per il corso, anche nel caso in cui abbia svolto attività professionali ritenute incompatibili. È con questa motivazione che la Corte dei conti della Lombardia, con le sentenze gemelle n. 40, 42, 43, 44, 45 del 12 marzo, mutando completamente il proprio orientamento (n. 23 del 23 gennaio) ha mandato assolti i medici di medicina generale in formazione caduti nelle maglie dell'operazione "Galeno" avviata dalla Guardia di finanza. Lo scrive Paola Ferrari sul Sole 24 Ore Sanità.
Il mutamento dell'orientamento trova origine da una diversa lettura della normativa mutata diverse volte. La direttiva n. 93/16/Cee, attuata con il Dlgs 368/1999, afferma che «tali posti di formazione formano oggetto di un'adeguata remunerazione». «È del tutto evidente», affermano i giudici, che «adeguata remunerazione» non significa «unica remunerazione», e ciò perché essa inerisce solamente all'attività di formazione dei medici a tempo pieno, obbligati a frequentare i corsi secondo la tempistica per essi prevista. L'articolo 19, comma 11, della legge 448/2001 prevede, infatti, la facoltà, da parte dei medici, di esercitare la professione anche «durante la loro iscrizione ai corsi di specializzazione o ai corsi di formazione specifica in medicina generale». In particolare, il citato articolo stabilisce che i medici «possono sostituire a tempo determinato medici di medicina generale convenzionati con il Ssn ed essere iscritti negli elenchi della guardia medica». La borsa, di conseguenza, avrebbe l'unica funzione di remunerare il tempo messo a disposizione del medico per la sua formazione. Secondo la tesi della Procura, al contrario, la borsa avrebbe natura "retributiva" a fronte di una formazione a tempo pieno, quindi deve costituire, per espressa previsione normativa, l'unica fonte di sostentamento economico del medico corsista (con l'eccezione delle uniche attività extra borsa consentite ex lege ai sensi dell'articolo 19, comma 11, della legge 448/2001). Secondo la ricostruzione della difesa, invece, è proprio la norma più volte richiamata dalla Procura, fatta propria dai giudici nella sentenza in commento e costituita dall'articolo 24, comma 3, del Dlgs 368/1999 (nella versione all'epoca vigente), a non contenere alcuno specifico divieto, tant'è vero che i «principi fondamentali per la disciplina unitaria in materia di formazione specifica in medicina generale» sono stati definiti solo con decreto ministeriale in data 7 marzo 2006, pubblicato nella Gu n. 60 del 13 marzo 2006 (non applicabile alla fattispecie di cui trattasi perché posteriore temporalmente). Inoltre, rileva la difesa che l'articolo 11 di tale ultimo decreto, al comma 4, prevede espressamente che in presenza di accertata incompatibilità ne consegue l'espulsione del medico tirocinante dal corso e non la restituzione della borsa. Al contrario, nel citato precedente costituito dalla sentenza n. 23 della medesima Corte, la tesi della Procura erariale era stata sposata in pieno (conforme Sez. Liguria n. 254/2012 e n. 208/2013; Sez. Bolzano n. 24/2013). Ma anche in quel precedente si dava atto che i giovani medici erano caduti in errore «probabilmente anche per non corretta informazione da parte degli stessi medici coordinatori delle attività didattiche della borsa di studio». Proprio questa evidente dimostrazione della situazione d'incertezza e confusione aveva convinto la Corte a esercitare il proprio potere riduttivo del danno riducendolo a un terzo di quello in origine contestato.
Paola Ferrari