«Noi sanitari senza tutele paghiamo un tributo alto»
«Senza armi nessun soldato può andare in guerra e vincere la battaglia. Abbiamo alzato la voce sia sui tavoli nazionali che regionali per farci ascoltare e alla fine alcune delle nostre idee sono state correttamente attuate». A parlare è Silvestro Scotti in un'intervista al quotidiano Il Mattino.
Quali sono gli scogli da superare per serrare le file della medicina territoriale contro il virus? «Il principale è stato reperire i mezzi di protezione. Questo virus è contagiosissimo e stiamo pagando un tributo molto alto». Ora come vanno le cose? «Siamo sulla buona strada. Abbiamo ideato e proposto ai tavoli nazionali l'istituzione delle unità speciali di Continuità assistenziale ma posto come paletto la fornitura di tute e mascherine. I pazienti Covid sono altamente infettivi e la loro gestione complessa. Vorrei dire però che abbiamo tenuto gli studi sempre aperti e il rapporto con i pazienti è stato costante». E sul piano più strettamente clinico? «Finora tutti i farmaci in sperimentazione erano somministrabili solo off label senza specifica indicazione e con dispensazione ospedaliera con tantissimi ostacoli». Ora l'Aifa ha autorizzato di corsa la prescrivibilità a carico del Servizio sanitario. «È un grande passo avanti anche se alcuni antivirali sono di pertinenza ospedaliera.
Ciò ci complica la vita perché la dematerializzazione della ricetta in questi casi non è valida e obbliga il paziente a ritirare la ricetta cartacea rossa presso il nostro studio. Ci siamo organizzati con mezzi alternativi alla mail». Molti vorrebbero assumere la clorochina ai primi sintomi, è utile? «Finora era prescrivibile solo per l'artrite reumatoide, adesso la utilizzeremo nei casi in cui la letteratura ci dice sia utile e necessaria insieme agli altri antivirali e inibitori delle proteasi. Ma va chiarito che non esiste un protocollo miracoloso. E che bisogna affrontare la penuria di questo farmaco nelle farmacie del territorio. Stiamo pensando con alcuni farmacisti di allestire delle preparazioni galeniche. Così come a casa del paziente è utile disporre sempre dell'ossigeno. Potremmo fare di più con la telemedicina a cui stiamo lavorando». Come monitorare i malati? «Intanto sappiamo che se c'è la febbre, la tosse, la congiuntivite e altri sintomi della malattia dobbiamo sospettarla come fosse conclamata».
Ma come sostituire una Tac? «Anche un'ecografia può essere utile, come anche verificare l'ossigenazione del sangue, la respirazione, la saturazione dei polmoni, l'auscultazione del torace. In questi casi si può comunque iniziare una cura con i farmaci che abbiamo. L'uso di antivirali si sta consolidando anche a domicilio e nelle fasi precoci. Sono importanti anche i controlli clinici dei parametri vitali. Senza dimenticare i tanti pazienti che oggi con altre patologie stentano a rivolgersi a noi e ai distretti per paura». La gestione della malattia in Veneto è stata migliore che in Lombardia, qual è il percorso più adatto? «La storia recente insegna che la Lombardia era tarata su un modello assistenziale pubblicoprivato di eccellenza per grandi patologie in grado di attrarre pazienti anche da altre regioni.
Il Veneto ha ospedalizzato di meno e puntato sulle cure domiciliari». Un modello da imitare? «Sì, partendo dal basso, con alcuni direttori di distretto, abbiamo elaborato i percorsi che mancano per fare del territorio e della Medicina di base e della continuità assistenziale un anello insostituibile della catena della buona gestione del malati Covid in ogni fase in cui si trovino». E sul fronte ospedaliero cosa migliorare? « Serve una chiara identificazione della funzione assistenziale. Alcuni ospedali vanno dedicati ai pazienti Covid, altri devono restare indenni».
Fonte Il Mattino