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I pazienti affetti da Scompenso Cardiaco presentano frequentemente molte morbilità, cardiache e non cardiache, con conseguente aggravamento dei sintomi, riduzione della qualità di vita, peggioramento della prognosi, incremento delle ospedalizzazioni e della mortalità.
E’, per questo, importante che il MMG, in collaborazione col cardiologo e l’eventuale altro specialista di riferimento, sia in grado di poterle riconoscere e gestirle al meglio, grazie all’acquisizione di adeguate conoscenze che gli consentano di comprenderne il significato fisiopatologico, clinico e prognostico.
Nella maggior parte dei pazienti, le caratteristiche anatomiche, fisiologiche e cliniche dello SC, sono legate alle interazioni tra le stesse morbilità coesistenti e tra queste e l'insufficienza cardiaca, più che al livello della frazione di eiezione ventricolare sinistra.
In generale, la più alta prevalenza di morbilità coesistenti, che si associa anche a un rischio di mortalità più elevato, è stata osservata nei pazienti con frazione di eiezione preservata (HFpEF) , ovvero ≥ 50%, mentre una qualità di vita inferiore si registra nei pazienti con frazione di eiezione ridotta (HFrEF), cioè <40%.
Purtroppo, nonostante sia ormai riconosciuta l’importanza che le malattie extra-cardiache hanno sulla prognosi ed il trattamento dei pazienti con SC, abbiamo ancora pochissime informazioni sul carico cumulativo di comorbilità extra-cardiache multiple; inoltre, la maggior parte degli studi di intervento sull'HF è stata concentrata su terapie mirate al sistema cardiovascolare (CV), mentre si pensa che anche le malattie extra-cardiache influenzino gli esiti CV nei pazienti con SC; ciò spiegherebbe come mai mentre diverse terapie si sono dimostrate efficaci per i pazienti con HF con frazione di eiezione ridotta (HFrEF), nessuna terapia è stata in grado di ridurre la morbilità e la mortalità nei pazienti con HF con frazione di eiezione preservata (HFpEF); sarebbe, dunque, proprio il maggiore carico demografico e di comorbidità nei pazienti con HFpEF a determinare la scarsa influenza dei farmaci con effetti prevalentemente cardiaci su tali endpoints. È evidente, dunque, che la stima del contributo del carico di malattia cardiaca o extra-cardiaca agli esiti CV nei pazienti con SC può aiutare a prevedere la massima riduzione del rischio ottenibile con trattamenti volti a diminuire tale carico di malattia. Naturalmente, in base a questi dati, il miglioramento della gestione di comorbilità specifiche dovrebbe avere un impatto maggiore sui pazienti con HFpEF, tuttavia il contributo relativo del carico di comorbilità non cardiaca agli esiti in HFrEF vs HFpEF non è ancora chiaro, in particolare nelle coorti contemporanee del mondo reale, verso cui, quindi, dovrebbero essere rivolti studi specifici.
In conclusione, è necessario prestare sempre maggiore attenzione alle comorbidità, per poterle diagnosticare precocemente, monitorare ed intervenire terapeuticamente nel modo migliore. Ricordiamo che tra le comorbidità più frequenti di natura cardiaca abbiamo la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa, le cardiopatie valvolari e la FA; mentre tra quelle non cardiache ricordiamo il diabete mellito, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (COPD), la malattia renale cronica, le carenze ormonali (HD), la PAD ( malattia arterie periferiche), l’obesità, l’anemia e il deficit di ferro.
Appare, peraltro, evidente come, nell’era della medicina sempre più settorializzata, sia necessario riconsiderare la patologia dell‘insufficienza cardiaca con un occhio olistico.
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