Comunicati Stampa
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Assistenza domiciliare al 'femminile'
Depressione grosso problema per le caregiver, ma da donne medico 'solidarietà di genere'
L’assistenza domiciliare è gestita quasi sempre da una figura femminile. E' quanto emerge da un sondaggio sui caregiver (persone impegnate nell'assistenza dei malati a domicilio) condotto dal Centro studi della FIMMG. All'indagine ha partecipato un campione di oltre 500 mmg distribuiti su tutto il territorio italiano, di cui la metà è costituito da donne. La “badante” sembrerebbe essere la figura più frequentemente coinvolta: viene inserita al primo posto dal 50% dei medici, in particolare al Centro (figura segnalata al primo posto dal 58% del campione), di meno al Sud (42%) dove la famiglia sembrerebbe svolgere un ruolo prevalente.
Il caregiver può appoggiarsi “quasi sempre/spesso” sulla presenza di una rete familiare di sostegno per il 49% del campione, solo “a volte” per un 41%, “raramente/quasi mai” per il 10%; quest’ultimo dato è più marcato al Sud (15%). Appare su questo esservi discordanza tra quanto riferito dai due generi dei medici; le donne sembrano percepire una minore disponibilità della rete familiare, presente “Quasi sempre/Spesso” nel 41% delle risposte, rispetto ai colleghi uomini che, alla stessa domanda, rispondono affermativamente nel 58% dei casi. Per il 50% del campione lo stesso caregiver presenta “Quasi sempre/Spesso” una patologia cronica, con una più elevata prevalenza di risposte affermative al Sud (61%). Si tratta di un aspetto percepito con maggiore evidenza dalle donne medico (patologia cronica del caregiver presente “Quasi sempre/Spesso” nel 55% dei casi, contro un 44% riferito dai medici uomini). Sembrerebbe, in particolare, che il caregiver presenti frequentemente sintomi riferibili a sindrome depressiva (“Quasi sempre/Spesso” riportato dal 57% del campione, con punte del 64% al Sud). Anche in questo caso sembrerebbe essere il MMG donna a riscontrare più frequentemente tale criticità (il 64% di loro risponde che questo problema affligge il caregiver “Quasi sempre/Spesso”, contro un 51% dei medici maschi).
Quasi tutti i medici (91% del campione) identificano in una figura femminile la persona che si reca in genere dal medico a riferire i problemi di salute di altri suoi familiari.
Per il 40% dei MMG coinvolti (per il 48% dei medici donna e per il 32% dei medici uomini) la quota delle donne lavoratrici con impegni assistenziali importanti, supera il 4% delle proprie assistite.
“Formare i medici di famiglia al contatto con i caregiver al femminile diventa sempre più significativo visto l’aumento dell’età media e delle patologie croniche – sottolinea il segretario nazionale della FIMMG, Silvestro Scotti - La presenza sempre più numerosa di figure intermedie come badanti, familiari e donne lavoratrici che si prendono carico dei pazienti più fragili e la necessità di stabilire con loro un rapporto di fiducia è un fatto ormai consolidato nella pratica quotidiana del medico di famiglia. Migliorare le relazioni con i caregiver, anche attraverso iniziative di formazione, rappresenta per noi medici di famiglia una grande occasione per non perdere gran parte del nostro potenziale assistenziale – prosegue Scotti -. Abbiamo il dovere di comprenderne il carico ed essere al loro fianco.
Curare se stessi diventa infatti aver cura degli altri, evolvendo il detto normalmente riferito al solo medico ovvero 'caregiver cura te stesso'”.
“Sempre più in difficoltà appare, complessivamente, la rete familiare che non sempre riesce a supportare il caregiver – commenta Paolo Misericordia, responsabile del Centro Studi FIMMG - La delicatezza di questo ruolo deve fare i conti con le malattia croniche e la depressione che spesso lo affliggono. Si tratta di problemi che sembrano essere prevalenti nelle regioni del Sud, dove il ruolo di caregiver è meno frequentemente delegato alle badanti e dove, pertanto, il carico assistenziale espone maggiormente i familiari, spesso anziani”. “Un altro dato interessante – continua Misericordia – riguarda la maggiore capacità delle donne medico nel percepire le criticità di questo particolare ambito assistenziale, rispetto ai colleghi uomini: sembrerebbe emergere, cioè, una loro sensibilità maggiore, sostenuta probabilmente da una sorta di «solidarietà di genere», resa evidente anche dalla elevata partecipazione di donne medico a questa indagine.”