Silvestro Scotti: triplicate richieste per certificati malattia
Le richieste di certificati di malattia sono triplicate, in queste settimane, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: sarebbero decine di migliaia in tutta Italia e la 'colpà è del coronavirus. Alle prese con il problema sono i medici di famiglia, che rilevano come tali richieste siano però ingiustificate il più delle volte ed a pesare sia in questo momento soprattutto la «psicosi dilagante» tra i pazienti. «Le richieste di certificati per malattia - spiega all'ANSA il segretario della Federazione dei Medici di Medicina Generale (Fimmg), Silvestro Scotti - si sono triplicate e riguardano soprattutto i settori del pubblico impiego». Tutto parte dal decreto dello scorso 8 marzo che, all'articolo 3, recita che «è fatta espressa raccomandazione» a malati, anziani e pazienti cronici di evitare di uscire dalle proprie abitazioni e di evitare luoghi affollati tranne che per motivi di stretta urgenza. Il problema, afferma Scotti, è che tale raccomandazione «è stata interpretata erroneamente in modo estensivo dai pazienti cronici, i quali pensano di avere tutti diritto a potersi mettere in malattia».
Ma non è così: «Il paziente - chiarisce Scotti - pensa cioè di poter avere il certificato sulla base della propria patologia cronica e non in base alla propria reale incapacità lavorativa. Il certificato viene cioè fatto quando la persona è impossibilitata a lavorare, ma se un paziente cronico è ben compensato dalle terapie non ha una incapacità lavorativa. È dunque fuorviante collegare l'uscita di casa alla patologia». E allora è proprio il medico a dover spiegare al paziente che non gli è possibile rilasciare il certificato, perchè «non c'è, in questo casi - afferma Scotti - un'incapacità lavorativa». Il punto, sottolinea, «è che non si dovrebbe far ricadere sul medico di base tale problematica ma, al contrario, dovrebbero essere i datori di lavoro ad andare incontro in questo momento a tali lavoratori con patologie croniche prevedendo per loro, ad esempio, il telelavoro o ricorrendo a congedi e ferie. Non si può - rileva - scaricare sul medico».
Emettendo tali certificati infatti, avverte, «il medico farebbe un 'falso ideologicò, senza contare gli effetti che una tale valanga di certificati produrrebbe in termini di costi sulle casse dell'Inps». Inoltre, in questa fase di emergenza, prosegue il segretario Fimmg, «tutto ciò rappresenta per noi un insostenibile carico amministrativo». Diverso il caso di un soggetto posto in quarantena che, invece, ha diritto al certificato di malattia per il periodo dei 14 giorni ed anche per l'intera durata del periodo di isolamento nel caso risultasse positivo al nuovo coronavirus. In tutto questo, spiega Scotti, «a pesare è però innanzitutto la paura, una vera psicosi che sta dilagando tra i pazienti cronici. Sono naturalmente comprensibili e vanno rispettate le ansie dei pazienti, ma quanti medici over-60 hanno delle patologie croniche e continuano nonostante questo ad andare a lavorare anche in questi giorni di emergenza per il coronavirus? In questo momento - conclude il segretario dei medici di famiglia - ci vuole soprattutto un grande senso di responsabilità, da parte di tutti».
di Manuela Correra – Fonte Ansa